CATECHESI BIBLICA – LETTERA AI ROMANI

Catechesi del Parroco

 CATECHESI BIBLICA  Mercoledì 17 Novembre 2010 

Riferimento biblico: Lettera ai Romani Cap. I

Relatore: Don Francesco Russo

 

Molti considerano la lettera ai Romani come il capolavoro tra gli scritti di S. Paolo. Questa lettera fu rivolta alla comunità di Roma che non era stata fondata da Pietro o Paolo, ma da giudei allontanatisi da Israele nella prima diaspora o per motivi di commercio. L’intenzione di Paolo era di purificare questa comunità da false convinzioni che ben presto si erano diffuse.

La lettera inizia con il saluto che Paolo rivolge ai cristiani di Roma, definiti i gentili perché appartenevano a gentes ovvero a nazioni diverse da quella giudea. Tale saluto si dimostra più breve rispetto a quello di altre lettere ma teologicamente più completo. S. Paolo sottolinea prima di tutto la gratuità, la grazia dell’elezione divina. Infatti è Dio che prende l’iniziativa ed elegge le sue creature. Dio è la sorgente della salvezza. L’uomo non è salvato per le sue opere ma per l’amore di Dio. All’uomo è chiesta la fede, che è Teologica, Cristologica, Pneumatologica ed ecclesiologica.

Nei versetti successivi del I capitolo S. Paolo si sofferma sulla definizione dell’apostolo come servo di Dio che è chiamato a cooperare nell’economia della salvezza. Il servo è chi osserva la Legge, chi ascolta il Padrone, chi è chiamato dal Padrone. Ma l’obbedienza di cui parla S. Paolo non è accoglimento passivo, ma intelligente, della volontà di Dio. L’uomo è chiamato alla fede che è vero e proprio culto, rendimento di grazia, cioè eucarestia («il giusto vive per la fede»). Gli stessi sacramenti sono la parte visibile di una realtà sostanziale più profonda. Perciò il cristiano che crede e vive nella fede è, nello stesso tempo, un liturgo, un consacrato, un predicatore, un evangelizzatore.

Il cristiano deve sforzarsi di incarnare Dio in sé stesso, e cioè di raggiungere la santità che non è la santità dei miracoli ma è l’elevazione a Dio attraverso l’imitazione di Cristo.

Nei versetti successivi Paolo inizia una serie di ringraziamenti. In primo luogo ringrazia Dio per la fede che i Romani vivono e che egli definisce un vero e proprio culto a Dio. Paolo, che non si pone come pastore nei confronti della comunità romana ma come fratello maggiore nella fede, dichiara la sua volontà di far visita ad essi sia per confortarli, sia per essere da loro confortato. Egli spera di poter essere in piena condivisione con tale comunità ed invita i cristiani di Roma a prenderlo come modello perché egli si è conformato a Cristo, modello per eccellenza. Questa è la forza della sua testimonianza: seguire il modello per essere modello.

Tuttavia Paolo non cessa di essere apostolo e, quindi, si dimostra pronto a correggere le eventuali imperfezioni che vi erano state nell’annuncio del Vangelo a Roma. Egli si scaglia contro le interpretazioni filosofiche e condanna ciò che ritiene errato, come ad esempio le scelleratezze e l’idolatria. In particolar modo egli si critica i sedicenti sapienti che creano situazioni particolari per giustificare certi mali che venivano commessi. Questo discorso è valido ancora di più oggi, poiché abbiamo addirittura leggi che sanciscono e convalidano certi mali per il semplice fatto che essi sussistono.

Se è vero che c’è del buono in ogni religione (Concilio Vaticano II), tuttavia noi non dobbiamo smettere di operare per la conversione degli altri e non dobbiamo rifiutarci di annunciare Cristo agli altri per una sorta di rispetto degli altri. Dobbiamo essere banditori, testimoni del Vangelo.

Il Vangelo, che pure detta dei canoni, non serve per avere una regola. Infatti, una volta assorbito, il Vangelo ci porta automaticamente a vivere in un certo modo. Il Vangelo è prima di tutto ad extra, e cioè una realtà che deve essere portata agli altri e fatta conoscere ad ogni uomo. Possiamo dire che il cristianesimo non è solo una religione, ma anche etica ed evoluzione umana.

Â