Diocesi di Aversa: ”Apertura Anno Pastorale 2018-19”
Convegno Diocesano “La Parrocchia, Chiesa missionaria in un mondo che cambia” con la riflessione di S.E. Mons. Nunzio Galantino
Si è aperto, ieri, sabato 29 settembre 2018, nella Chiesa Cattedrale, l’Anno Pastorale 2018-2019 della Diocesi di Aversa, “Una generazione narra all’altra – Per far conoscere agli uomini le tue imprese e la splendida gloria del tuo Regno” (Sal 145,4.12). Un cammino che sarà declinato alla rilettura delle indicazioni fornite nel 2004 dalla CEI con la Nota pastorale “Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia”.
Alla presenza di S.E. Mons. Nunzio Galantino, presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica e già Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana dal 2013 al 2018, è stato inaugurato il nuovo anno pastorale sul tema “La Parrocchia, Chiesa missionaria in un mondo che cambia: il rinnovamento missionario della Chiesa italiana alla luce di Evangelii Gaudium”.
Dall’Esortazione Apostolica ”Evangelii Gaudium ”:
28. La parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità. Sebbene certamente non sia l’unica istituzione evangelizzatrice, se è capace di riformarsi e adattarsi costantemente, continuerà ad essere «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie».[26] Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi. La parrocchia è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione.[27] Attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione.[28] È comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario. Però dobbiamo riconoscere che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente, e siano ambiti di comunione viva e di partecipazione, e si orientino completamente verso la missione.
270. A volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri. Aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente e viviamo l’intensa esperienza di essere popolo, l’esperienza di appartenere a un popolo.
271. È vero che, nel nostro rapporto con il mondo, siamo invitati a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano. Siamo molto chiaramente avvertiti: «sia fatto con dolcezza e rispetto» (1 Pt 3,16), e «se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm 12,18). Siamo anche esortati a cercare di vincere «il male con il bene» (Rm 12,21), senza stancarci di «fare il bene»
(Gal 6,9) e senza pretendere di apparire superiori ma considerando «gli altri superiori a se stesso» (Fil 2,3). Di fatto gli Apostoli del Signore godevano «il favore di tutto il popolo» (At 2,47; cfr 4,21.33; 5,13). Resta chiaro che Gesù Cristo non ci vuole come principi che guardano in modo sprezzante, ma come uomini e donne del popolo. Questa non è l’opinione di un Papa né un’opzione pastorale tra altre possibili; sono indicazioni della Parola di Dio così chiare, dirette ed evidenti che non hanno bisogno di interpretazioni che toglierebbero ad esse forza interpellante. Viviamole “sine glossa”, senza commenti. In tal modo sperimenteremo la gioia missionaria di condividere la vita con il popolo fedele a Dio cercando di accendere il fuoco nel cuore del mondo.
273. La missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare. Lì si rivela l’infermiera nell’animo, il maestro nell’animo, il politico nell’animo, quelli che hanno deciso nel profondo di essere con gli altri e per gli altri. Tuttavia, se uno divide da una parte il suo dovere e dall’altra la propria vita privata, tutto diventa grigio e andrà continuamente cercando riconoscimenti o difendendo le proprie esigenze. Smetterà di essere popolo.