GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2018

Insieme ai giovani, portiamo il Vangelo a tutti

Cari giovani, insieme a voi desidero riflettere sulla missione che Gesù ci ha affidato. Rivolgendomi a voi intendo includere tutti i cristiani, che vivono nella Chiesa l’avventura della loro esistenza come figli di Dio. Ciò che mi spinge a parlare a tutti, dialogando con voi, è la certezza che la fede cristiana resta sempre giovane quando si apre alla missione che Cristo ci consegna. «La missione rinvigorisce la fede» (Lett. enc. Redemptoris missio, 2), scriveva san Giovanni Paolo II, un Papa che tanto amava i giovani e a loro si è molto dedicato.

L’occasione del Sinodo che celebreremo a Roma nel  mese di ottobre, mese missionario, ci offre l’opportunità di comprendere meglio, alla luce della fede, ciò che il Signore Gesù vuole dire a voi giovani e, attraverso di voi, alle comunità cristiane.

La vita è una missione

Ogni uomo e donna è una missione, e questa è la ragione per cui si trova a vivere sulla terra. Essere attratti ed essere inviati sono i due movimenti che il nostro cuore, soprattutto quando è giovane in età, sente come forze interiori dell’amore che promettono futuro e spingono in avanti la nostra esistenza. Nessuno come i giovani sente quanto la vita irrompa e attragga. Vivere con gioia la propria responsabilità per il mondo è una grande sfida. Conosco bene le luci e le ombre dell’essere giovani, e se penso alla mia giovinezza e alla mia famiglia, ricordo l’intensità della speranza per un futuro migliore. Il fatto di trovarci in questo mondo non per nostra decisione, ci fa intuire che c’è un’iniziativa che ci precede e ci fa esistere. Ognuno di noi è chiamato a riflettere su questa realtà: «Io sono una missione in questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 273).

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Sinodo: Etty Hillesum una spiritualità per i giovani

News Testimonianze

”C’è più vita nella nostra interiorità che fuori”

Etty (Esther) Hillesum era nata il 15 gennaio 1914 a Middelburg (Paesi Bassi) da famiglia ebrea, figlia di un insegnante di lingue classiche e di una russa scampata ai pogrom. Laureata in giurisprudenza e iscrittasi poi alla facoltà di lingue slave, coltivò la passione per la lettura e gli studi di filosofia e psicologia. Ad Amsterdam, in cui passò la maggior parte della sua vita, Etty insegnò russo e condusse un’intensa vita relazionale, vissuta comunque come arricchimento e ulteriore stimolo di una intensissima vita interiore. Di quest’ultima sono testimonianza i suoi diari (dal marzo 1941 al settembre 1943), e le lettere scritte agli amici, in gran parte da Westerbork, campo di smistamento e anticamera per Auschwitz, situato al confine tra i Paesi Bassi e la Germania, dove Etty si trovò come prigioniera dal giugno del ’43 (dopo avervi lavorato con possibilità di allontanamento e avere avuto quindi più volte l’occasione, da lei rifiutata, di fuggire). Il 7 settembre 1943 si trovò anche lei come tutti sul treno merci per Auschwitz, assieme ai genitori e ad uno dei due fratelli.
Etty morì ad Auschwitz il 30 novembre 1943 a soli ventinove anni.
Chi era Etty Hillesum? Il punto di partenza di Etty è quello di una donna fragile, inquieta, instabile affettivamente. Depressione, paura e repulsione marcano l’umanità di questa donna all’inizio della sua autotestimonianza. Etty è una donna che ha avuto un’intensa vita sentimentale e un’altrettanto intensa vita spirituale, una donna che cercò con molta difficoltà di trovare un equilibrio tra la sua sete spirituale, di leggere, di conoscere, di scrivere, di esprimersi, di pregare e il suo desiderio di vivere un rapporto d’amore con un uomo.
L’itinerario interiore di Etty Hillesum si svolse contemporaneamente ai fatti storici esterni che andarono coinvolgendo in maniera sempre più drammatica la gente ebrea: questo dramma la sollecitò fortemente alla ricerca di un atteggiamento da tenere sia di fronte alla propria storia personale che alla “grande” Storia, l’abisso di assurdità e ingiustizia che si compiva sotto gli occhi di quella generazione di ebrei.

Ma Etty chiede di essere un “cuore pensante”, e si oppone tanto all’incapacità di pensare come violenza nell’atteggiamento dell’aguzzino quanto alla non volontà di pensare come reazione al dolore che si evidenzia nelle vittime, attorno a lei. In ascolto di se stessa, Etty si fortifica sempre più in benevolenza e fiducia verso la vita mentre all’esterno la situazione storica precipita in orrore, così che verso il termine del suo itinerario interiore, quella vitalità inquieta e sofferente si è come illuminata e pacificata, saldata attorno ad un ancoraggio interiore: Dio.

“Dentro di me c’è una sorgente molto profonda – scrive Etty – e in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta di pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo”.

A Dio scrive così: “Discorrerò con te molto spesso e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi”. Etty tiene vivo Dio in sé come relazione da alimentare, e parla con lui come ad una persona diventata importante, qualcuno che non si vuole più lasciare andare. Parla a Dio come a un qualcuno la cui permanenza nella nostra vita è più importante delle proiezioni e delle attese che possiamo avergli costruito attorno. Lei fa un’operazione di “ritiro delle proiezioni” con tutti gli attori più importanti della sua scena esistenziale, il suo uomo, il suo nemico, il suo Dio. In questo modo diventa capace di relazioni libere e liberanti con tutti, anche con Dio, da cui arriva a non pretendere niente, nemmeno che sia Dio, con tutte le immagini e le implicazioni di potenza che caricano questo nome.

Etty manifesta questa idea commovente, originale, profondamente umana: trattenere Dio presso di sé col dialogo, con l’attenzione, con la cura di una relazione: “Discorrerò con te”; parlerò io nel tuo silenzio e farò essere la relazione anche nell’assenza, nell’apparente assenza di te. Vorrò crederci, e, credendoci, ti farò essere; parlando con te renderò viva e operante la tua presenza invisibile, seppellita e silente nel cuore dell’uomo.

“Non diventate apatici e insensibili”. In ognuno di voi – scrive Etty ai suoi colleghi del Consiglio ebraico di Amsterdam (uno strumento di apparente collaborazione con gli ebrei, creato dai nazisti) – esiste “una parte migliore”. Questo lo dice anche San Paolo: “Sono convinto che in ognuno di voi vi siano cose migliori”; la parte migliore, di cui parla anche Gesù a Marta, dicendo di Maria che si è scelta la parte migliore – questa parte migliore è dentro di te, è una sorgente nel tuo cuore, seppellita di pietre e sabbia.

Approfondimenti circa Etty Hillesum: http://www.notedipastoralegiovanile.it

Canonizzazione di ”Paolo VI, IL PAPA MARIANO”

Come santuario mariano ricordiamo, in questo giorno, l’Esortazione Apostolica ‘Marialis Cultus’ di San Paolo VI

Il Papa Paolo VI scriveva: “Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù, e che apre a noi la via che a lui conduce. Una duplice via: quella dell’ esempio e dell’intercessione. Vogliamo essere cristiani, cioè imitatori di Cristo? Guardiamo a Maria; Ella è la figura più perfetta della somiglianza a Cristo. Ella è il «tipo». Ella è l’immagine che meglio d’ogni altra rispecchia il Signore è, come dice il Concilio, «l’eccellentissimo modello nella fede e nella carità» (Lumen Gentium 58)”

Approfondimenti circa l’Esortazione AP ”Marialis Cultus”  http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_exhortations/documents/hf_p-vi_exh_19740202_marialis-cultus.html

Sinodo – 1° Giorno ”Il coraggio del parlare, l’umiltà dell’ascoltare”

Il Sinodo che stiamo vivendo è un momento di condivisione. Desidero dunque, all’inizio del percorso dell’Assemblea sinodale, invitare tutti a parlare con coraggio e parresia, cioè integrando libertà, verità e carità. Solo il dialogo può farci crescere. Una critica onesta e trasparente è costruttiva e aiuta, mentre non lo fanno le chiacchiere inutili, le dicerie, le illazioni oppure i pregiudizi.

E al coraggio del parlare deve corrispondere l’umiltà dell’ascoltare. Dicevo ai giovani nella Riunione pre-sinodale: «Se parla quello che non mi piace, devo ascoltarlo di più, perché ognuno ha il diritto di essere ascoltato, come ognuno ha il diritto di parlare». Questo ascolto aperto richiede coraggio nel prendere la parola e nel farsi voce di tanti giovani del mondo che non sono presenti. È questo ascolto che apre lo spazio al dialogo. Il Sinodo dev’essere un esercizio di dialogo, anzitutto tra quanti vi partecipano. E il primo frutto di questo dialogo è che ciascuno si apra alla novità, a modificare la propria opinione grazie a quanto ha ascoltato dagli altri. Questo è importante per il Sinodo. Molti di voi hanno già preparato il loro intervento prima di venire – e vi ringrazio per questo lavoro –, ma vi invito a sentirvi liberi di considerare quanto avete preparato come una bozza provvisoria aperta alle eventuali integrazioni e modifiche che il cammino sinodale potrebbe suggerire a ciascuno. Sentiamoci liberi di accogliere e comprendere gli altri e quindi di cambiare le nostre convinzioni e posizioni: è segno di grande maturità umana e spirituale.

Il Sinodo è un esercizio ecclesiale di discernimento. Franchezza nel parlare e apertura nell’ascoltare sono fondamentali affinché il Sinodo sia un processo di discernimento. Il discernimento non è uno slogan pubblicitario, non è una tecnica organizzativa, e neppure una moda di questo pontificato, ma un atteggiamento interiore che si radica in un atto di fede. Il discernimento è il metodo e al tempo stesso l’obiettivo che ci proponiamo: esso si fonda sulla convinzione che Dio è all’opera nella storia del mondo, negli eventi della vita, nelle persone che incontro e che mi parlano. Per questo siamo chiamati a metterci in ascolto di ciò che lo Spirito ci suggerisce, con modalità e in direzioni spesso imprevedibili. Il discernimento ha bisogno di spazi e di tempi. Per questo dispongo che durante i lavori, in assemblea plenaria e nei gruppi, ogni 5 interventi si osservi un momento di silenzio – circa tre minuti – per permettere ad ognuno di prestare attenzione alle risonanze che le cose ascoltate suscitano nel suo cuore, per andare in profondità e cogliere ciò che colpisce di più. Questa attenzione all’interiorità è la chiave per compiere il percorso del riconoscere, interpretare e scegliere.

Siamo segno di una Chiesa in ascolto e in cammino. L’atteggiamento di ascolto non può limitarsi alle parole che ci scambieremo nei lavori sinodali. Il cammino di preparazione a questo momento ha evidenziato una Chiesa “in debito di ascolto” anche nei confronti dei giovani, che spesso dalla Chiesa si sentono non compresi nella loro originalità e quindi non accolti per quello che sono veramente, e talvolta persino respinti. Questo Sinodo ha l’opportunità, il compito e il dovere di essere segno della Chiesa che si mette davvero in ascolto, che si lascia interpellare dalle istanze di coloro che incontra, che non ha sempre una risposta preconfezionata già pronta. Una Chiesa che non ascolta si mostra chiusa alla novità, chiusa alle sorprese di Dio, e non potrà risultare credibile, in particolare per i giovani, che inevitabilmente si allontaneranno anziché avvicinarsi.
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