”C’è più vita nella nostra interiorità che fuori”
Etty (Esther) Hillesum era nata il 15 gennaio 1914 a Middelburg (Paesi Bassi) da famiglia ebrea, figlia di un insegnante di lingue classiche e di una russa scampata ai pogrom. Laureata in giurisprudenza e iscrittasi poi alla facoltà di lingue slave, coltivò la passione per la lettura e gli studi di filosofia e psicologia. Ad Amsterdam, in cui passò la maggior parte della sua vita, Etty insegnò russo e condusse un’intensa vita relazionale, vissuta comunque come arricchimento e ulteriore stimolo di una intensissima vita interiore. Di quest’ultima sono testimonianza i suoi diari (dal marzo 1941 al settembre 1943), e le lettere scritte agli amici, in gran parte da Westerbork, campo di smistamento e anticamera per Auschwitz, situato al confine tra i Paesi Bassi e la Germania, dove Etty si trovò come prigioniera dal giugno del ’43 (dopo avervi lavorato con possibilità di allontanamento e avere avuto quindi più volte l’occasione, da lei rifiutata, di fuggire). Il 7 settembre 1943 si trovò anche lei come tutti sul treno merci per Auschwitz, assieme ai genitori e ad uno dei due fratelli.
Etty morì ad Auschwitz il 30 novembre 1943 a soli ventinove anni.
Chi era Etty Hillesum? Il punto di partenza di Etty è quello di una donna fragile, inquieta, instabile affettivamente. Depressione, paura e repulsione marcano l’umanità di questa donna all’inizio della sua autotestimonianza. Etty è una donna che ha avuto un’intensa vita sentimentale e un’altrettanto intensa vita spirituale, una donna che cercò con molta difficoltà di trovare un equilibrio tra la sua sete spirituale, di leggere, di conoscere, di scrivere, di esprimersi, di pregare e il suo desiderio di vivere un rapporto d’amore con un uomo.
L’itinerario interiore di Etty Hillesum si svolse contemporaneamente ai fatti storici esterni che andarono coinvolgendo in maniera sempre più drammatica la gente ebrea: questo dramma la sollecitò fortemente alla ricerca di un atteggiamento da tenere sia di fronte alla propria storia personale che alla “grande” Storia, l’abisso di assurdità e ingiustizia che si compiva sotto gli occhi di quella generazione di ebrei.
Ma Etty chiede di essere un “cuore pensante”, e si oppone tanto all’incapacità di pensare come violenza nell’atteggiamento dell’aguzzino quanto alla non volontà di pensare come reazione al dolore che si evidenzia nelle vittime, attorno a lei. In ascolto di se stessa, Etty si fortifica sempre più in benevolenza e fiducia verso la vita mentre all’esterno la situazione storica precipita in orrore, così che verso il termine del suo itinerario interiore, quella vitalità inquieta e sofferente si è come illuminata e pacificata, saldata attorno ad un ancoraggio interiore: Dio.
“Dentro di me c’è una sorgente molto profonda – scrive Etty – e in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta di pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo”.
A Dio scrive così: “Discorrerò con te molto spesso e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi”. Etty tiene vivo Dio in sé come relazione da alimentare, e parla con lui come ad una persona diventata importante, qualcuno che non si vuole più lasciare andare. Parla a Dio come a un qualcuno la cui permanenza nella nostra vita è più importante delle proiezioni e delle attese che possiamo avergli costruito attorno. Lei fa un’operazione di “ritiro delle proiezioni” con tutti gli attori più importanti della sua scena esistenziale, il suo uomo, il suo nemico, il suo Dio. In questo modo diventa capace di relazioni libere e liberanti con tutti, anche con Dio, da cui arriva a non pretendere niente, nemmeno che sia Dio, con tutte le immagini e le implicazioni di potenza che caricano questo nome.
Etty manifesta questa idea commovente, originale, profondamente umana: trattenere Dio presso di sé col dialogo, con l’attenzione, con la cura di una relazione: “Discorrerò con te”; parlerò io nel tuo silenzio e farò essere la relazione anche nell’assenza, nell’apparente assenza di te. Vorrò crederci, e, credendoci, ti farò essere; parlando con te renderò viva e operante la tua presenza invisibile, seppellita e silente nel cuore dell’uomo.
“Non diventate apatici e insensibili”. In ognuno di voi – scrive Etty ai suoi colleghi del Consiglio ebraico di Amsterdam (uno strumento di apparente collaborazione con gli ebrei, creato dai nazisti) – esiste “una parte migliore”. Questo lo dice anche San Paolo: “Sono convinto che in ognuno di voi vi siano cose migliori”; la parte migliore, di cui parla anche Gesù a Marta, dicendo di Maria che si è scelta la parte migliore – questa parte migliore è dentro di te, è una sorgente nel tuo cuore, seppellita di pietre e sabbia.
Approfondimenti circa Etty Hillesum: http://www.notedipastoralegiovanile.it