Il Sabato Santo è l’«Ora» della Madre

Il Venerdì Santo è l’«Ora» di Cristo: «Ora» in cui, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino all’ultimo segno (Gv 13, 1), consumando per loro e per i peccati di tutti la sua immolazione di Vittima sull’altare della Croce: ai suoi piedi, per divino volere, stava Maria, a lui indissolubilmente unita nel dolore e nell’offerta. Il Sabato Santo è l’«Ora» della Madre: «Ora» tutta sua, nella quale lei, la Donna, la Figlia di Sion, la Madre della Chiesa, visse la prova suprema della fede e dell’unione al Dio Redentore. Straziata dal dolore per il Figlio ucciso e sepolto, per l’ingratitudine e l’infedeltà del popolo eletto, per il tradimento e l’abbandono dei più intimi discepoli,per l’ottusità di tutti nel credere che egli sarebbe risorto come aveva predetto, anch’essa è provata dalla tentazione del dubbio, al quale eroicamente resiste, aggrappandosi alle parole del Figlio e alla fedeltà del Padre onnipotente. È la Madre della nostra fede. Credette contro ogni evidenza, sperò contro ogni speranza. Per questo il Sabato Santo è l’«Ora» sua, nella quale davvero completò in sé quel che mancava ai patimenti del Cristo a favore della sua Chiesa (cf. Col 1, 24): poiché – dicono antichi autori – in quel giorno tutta la Chiesa si raccolse nel suo cuore di Madre, e con la Chiesa si raccolsero e fiorirono in lei le speranze e le attese del mondo. Fin dai primi secoli la Chiesa d’Oriente e d’Occidente ha sentito e celebrato questo misterioso legame che congiunge, come ponte, il Venerdì Santo alla Domenica di Pasqua, passando attraverso il cuore di Maria, ed ha guardato la Vergine come rappresentante ed espressione di tutta la Chiesa redenta, che attende trepida l’alba della risurrezione. Anche oggi, nel Sabato Santo, la Chiesa bizantina canta davanti all’icona di Cristo sepolto i lamenti della Madre e dei più fedeli discepoli; anche oggi, in più parti del mondo, i cattolici di rito latino celebrano l’Ora della fede di Maria, preludio alla rinnovazione delle promesse battesimali e alla gioia che irradia il giorno di Pasqua.

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Domenica delle Palme – ‘Osanna al Figlio di Davide’

Catechesi del Parroco

‘Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme” (Lc 9, 51). Il viaggio, rinnovato ogni anno nella liturgia, giunge alla sua meta all’inizio delle Settimana Santa, che si apre solennemente, la Domenica delle Palme, con il glorioso ingresso di Cristo nella Città Santa, ove, quale Agnello immolato, egli consumerà la nuova Pasqua portando a compimento la sua missione redentrice. Insieme con lui, entriamo anche noi per condividere i giorni della sua Passione, immergendoci nella sua morte e risorgere con lui a nuova vita.
Ogni cristiano che, lungo il cammino quaresimale, si è impegnato nella lotta contro il male e nello sforzo ascetico ha tenuto lo sguardo contemporaneamente rivolto a Dio e a se stesso, ora è invitato dalla liturgia a non avere occhi che per Cristo.
E’ la sua persona – il suo volto, la sua voce e il suo silenzio – a riempire questo sacro tempo. Guardando al Cristo – nel quale è presente tutto il genere umano – assistiamo allo svolgersi e al concludersi del nostro stesso dramma personale e di quello dei nostri fratelli.
La liturgia, infatti, non è soltanto un’azione a cui assistere, ma un evento a cui partecipare. Ci troviamo, quindi, a patire insieme con il Figlio di Dio le nostre sofferenze che egli ha fatte sue e siamo sollecitati ad assumere il suo stesso atteggiamento interiore di filiale obbedienza e di amore verso il Padre e verso il prossimo; amore che si manifesta in mansuetudine, dolcezza di carità, magnanimità, perdono.
Modello sublime di questa com-passione è la Vergine Madre. Di lei la liturgia ci fa sentire l’intenso dolore nello stesso grido del Figlio morente, ma ancora di più ci fa sentire la forza del suo silenzio adorante. Ella è tutta un si al Padre, un consenso che dilata la sua maternità di grazia su un piano incommensurabile.

Vivere con Maria la Passione del Signore è quanto è chiamata a fare la Chiesa, e perciò ogni cristiano. Non si tratta, però, di una compassione sentimentale, puramente emotiva, ma di una pronta e generosa volontà di offerta al Padre, in solidarietà con tutti i fratelli per i quali il sangue di Cristo viene sparso sulla croce. E’ in questo modo che il cristiano è chiamato a essere protagonista della tragedia del Calvario. In virtù di una fede forte e di un amore ardente egli si unisce, si immerge nella grazia del mistero di Cristo liturgicamente rinnovato, e contemporaneamente assume ogni umano dolore – personale e sociale – per farlo confluire nella sfera della Passione redentrice. Ogni uomo, infatti, come pure l’umanità di ogni epoca storica, ha un suo mistero di dolore, legato direttamente o indirettamente a una storia di colpa. E’ proprio questo che il Cristo ha sofferto allora e che egli, in noi, oggi continua a soffrire e a offrire, affinché tutto il male sia redento dal dolore e dall’amore. Quando il cristiano, consapevolmente, vive l’ <<ora>> del Cristo, non si estranea dalla storia; al contrario, vive l’ <<ora>> drammatica del mondo attuale. Con il Cristo si rimette totalmente nelle mani del Padre in abbandono fiducioso, scende nella profondità delle tenebre, sperimenta l’estrema umiliazione e la morte, e non la subisce quale peso dell’ira vendicatrice di Dio contro l’uomo peccatore, ma l’abbraccia come prova d’amore del Padre che, in Cristo, scende nella nostra morte per trasformarla in vita.

La liturgia della Settimana Santa è certamente la più ricca di pathos religioso e anche umano: a contatto con essa l’anima nostra ne resta intensamente pervasa e acquista una particolare capacità di mettersi in sintonia con i sentimenti del Signore Gesù, della Vergine Madre e della Chiesa, così da abbracciare gli uomini di ogni lingua, popolo e nazione e per essi offrire la propria vita.

Buona Settimana Santa a tutti i lettori di Maria SS delle Grazie

(tratto dal libro dell’Abbadessa benedettina Anna Maria Cànopi ” La Grande Settimana ”)

 

«Insegnate al popolo ad adorare in silenzio» di Papa Francesco

I cristiani devono imparare la «preghiera di adorazione». E i pastori devono avere a cuore la formazione dei fedeli a questa fondamentale forma di preghiera. Lo ha sottolineato Papa Francesco lunedì 5 febbraio durante la messa celebrata a Santa Marta, alla quale ha partecipato un gruppo di parroci di recente nomina. Rivolgendosi direttamente a loro, il Pontefice li ha esortati: «insegnate al popolo ad adorare in silenzio» perché «così imparano da adesso cosa faremo tutti là, quando per la grazia di Dio arriveremo in cielo».
L’adorazione come obbiettivo del «cammino» del credente è stata al centro dell’omelia di Francesco, che ha preso le mosse dalla prima lettura del giorno (1 Re, 8, 1-7.9-13), nella quale si narra di re Salomone che «convoca il suo popolo per salire verso i monti del Signore, verso la città, verso il tempio», portando in processione l’arca dell’alleanza nel Santo dei Santi.
In questo cammino che prevedeva un percorso in salita, faticoso — «il cammino facile è quello in pianura» ha osservato il Papa — il popolo portava con sé «la propria storia, la memoria della elezione, la memoria della promessa e la memoria dell’alleanza». E con questo carico di memoria si avvicinava al tempio. Non solo: il popolo, ha aggiunto Francesco, portava anche «la nudità dell’alleanza», cioè semplicemente le «due tavole di pietra, nuda, così, come era stata data da Dio» e non come l’avevano imparata «dagli scribi, che l’avevano “barocchizzata” con tante prescrizioni». Era quello il loro tesoro: «l’alleanza nuda: io ti amo, tu mi ami. Il primo comandamento, amare Dio; secondo, amare il prossimo. Nuda, così».

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”L’UOMO RESTA DOPPIO” di Mons. Angelo Spinillo

Come comunità territoriale, ci sentiamo chiamati, in questi giorni, a una seria riflessione su credenze e forme di religiosità popolare, da cui, in situazioni particolari, possono anche generarsi situazioni anomale o addirittura pericolose.

La religiosità popolare è una grandissima ricchezza. Temiamo però, che a volte, possa smarrirsi in forme di dipendenza.
La fede, invece, è una forma di liberazione: la persona apre il cuore alla grandezza della presenza di Dio e diventa, in qualche modo partecipe di quella grandezza, diventa partecipe della libertà di Dio nel fare il bene.
La religiosità popolare è quella che in questi giorni di quaresima e poi della passione, contempla la sofferenza di Cristo Gesù, il dono che Cristo fa di se stesso all’umanità.
Lo fa attraverso – ripeto – le forme che le sono proprie: per esempio, una processione. Questo, però, piò sfociare in forme, in cui prevale un senso di sottomissione a una forza, a una potenza. Non dimentico mai un’espressione che si trova nel libro ‘Cristo si è fermato a Eboli’, quando Carlo Levi descrive una processione, dicendo che tanta di quella festa, che si faceva intorno a quell’immagine della Madonna portata in processione, appariva più come un tributo dovuto alla potenza, piuttosto che un modo di partecipare alla carità.
Infatti se, per la debolezza umana o per tanti bisogni in cui ci si trova, ci si limita a vivere forme di sottomissione usando la religione quasi come una sorta di magia, di superstizione, allora purtroppo l’umanità non viene liberata.

In particolare in che cosa consistono le cosiddette pratiche esorcistiche? La Chiesa le riconosce? E in quali casi le autorizza?

Il male deturpa la libertà dell’uomo, la possibilità di vivere con serenità. Rende davvero la persona meno umana. In questo c’è l’azione, direi così, ordinaria del demonio, azione che possiamo riconoscere in tutti i peccati, in tutte le forme di prepotenza, di ingiustizia, di violenza, di falsità. Tutto questo è quel male in cui, forse, facciamo fatica a riconoscere l’azione del demonio.
Per liberarsi dal male ci vuole solo il contatto con il Signore della vita, che è giustizia, verità, amore. Questo contatto è innanzitutto la preghiera, è raccogliere la Sua Parola, il riconoscere la sua presenza, con cui vivere in dialogo permanente. Ma quando si riconosce non solo la tentazione ordinaria del demonio, ma si riconosce una presenza particolare, che sembra vessare in maniera ossessiva una creatura umana, farle sperimentare il male nella forma estrema di una sudditanza alla presenza del demonio, ecco che la Chiesa, con la preghiera, secondo la sua millenaria tradizione, viene in soccorso a ciascuno dei fedeli. Ovviamente non è facile riconoscere quando questo è davvero opera del demonio o non sia frutto delle tante ordinarie situazioni di difficoltà, che l’umanità, purtroppo continua a vivere soprattutto nei tempi di confusione, quando cioè ci sono incertezze sui valori, sugli affetti, sul futuro. Allora è facile che si cerchi una soluzione più immediata, perchè privi di serenità interiore e senza fiducia. E’ allora che la Chiesa interviene con la preghiera e aiuta la persona a liberarsi, alzando lo sguardo a Dio, rinnovando la sua fiducia in Lui. Ecco perchè, di solito, queste preghiere particolari le affida a persone ufficialmente incaricate di questa attenzione della Chiesa alla vita delle singole persone. 

E non si fa con superficialità, ma è qualcosa che si fa in casi, per la verità, molto rari. La preghiera, come dicevo, viene guidata da un sacerdote, ma è preghiera di tutta la Chiesa, che vuole aprire il cuore delle persone alla presenza di Dio. Non è uno scontro di poteri o di forze con modalità simili a interventi di potenze materiali.

Nelle pratiche tese a combattere presunte presenze malefiche, qual’è lo spirito con cui si opera e i limiti che l’incaricato deve rispettare?

Nel caso in cui si arrivasse a riconoscere una presenza malefica nella vita di una persona, chi sviluppa le preghiere di liberazione dovrà essere persona equilibrata, capace di riconoscere anzitutto il male, ma capace anche, con l’aiuto delle scienze psicologiche e psichiatriche, di essere di sostegno alla persona. Non si tratta, come dicevo, di mettersi in forme di combattimento tra potenze, ma piuttosto in quella dimensione di attenzione alla vita di ciascuno, che potremmo chiamare ministero di consolazione, un desiderio, un bisogno di consolare. La Chiesa, con la sua preghiera in atteggiamento di fraternità, viene a sostenere il cammino di ciascuno verso il bene, verso il regno di Dio. Ma è un atteggiamento di fraternità, che avvicina a ogni persona, non è l’intervento dello specialista di un tipo di patologia. Mi viene in mente un pensiero del cardinale Robert Sarah nel suo ‘Dio o niente’. C’è nell’uomo una nostalgia di Dio, un’aspirazione, un attaccamento naturale, che ci spinge verso il Padre, eppure l’uomo resta doppio, diviso tra la sua ricerca del bene e il potere delle tenebre. La preghiera, assecondata dalla penitenza, è un atto di resistenza, un segno di mancata sottomissione al principe di questo mondo’. E’ in questa prospettiva che la Chiesa vive anche il senso dell’esorcismo, lo vive cioè come quella preghiera che vuole aiutare le persone ad essere sempre vigili, a non lasciarsi mai tentare verso il male, a camminare verso il bene, con fiducia e con l’aiuto di tutta la comunità.

Articolo tratto dall’Osservatorio Cittadino n°4 del 25/02/2018