Simboli Biblici – ‘Il Granello di Senape”

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Il Vangelo di ieri 2 ottobre parla di senape.
La pianta di senape, nota e coltivata in Palestina, è menzionata nel Nuovo Testamento da Gesù che, quando parla in parabole, indica il suo seme come simbolo del Regno di Dio (Mt 13,31; Mc, 4,31; Lc 13,19) e della fede del credente (Mt 17, 20; 21,21; Lc 17, 5-6).

Il granello di senape, piccolissimo come la punta di uno spillo, è caratterizzato da estrema piccolezza e da grande dinamismo vitale. Benché quasi invisibile, questo granello cresce e, sfuggendo al controllo del contadino, raggiunge anche i tre metri di altezza: «Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami» (cfr. Mt. 13,32). Per questa forza vitale, il granello di senape, è simbolo del Regno di Dio, il cui dinamismo sfugge a ogni umano controllo.
Come il seme di senape, raggiunta la sua crescita, offre riparo agli uccelli che costruiscono il loro nido tra i suoi rami, così il Regno di Dio annunciato da Gesù in modo umile, nella piccolezza, stupirà per la grandezza del suo compimento finale.

Il paragone del Regno di Dio con l’albero richiama alcune profezie (cfr. Ez 17, 23; 31, 6; Dan 4, 9.18), ma con notevoli differenze: i profeti utilizzano alberi grandi e maestosi, in particolare il cedro. Gesù sceglie la senape che è piantata nel campo o nell’orto di casa. Il Regno di Dio inizia da piccole cose, si sviluppa nel quotidiano, fino a diventare un albero grandioso, che offre protezione a tutti.

Il granello di senape simboleggia inoltre, in maniera efficace, la stessa vita di Gesù: la sua nascita umile e nascosta ai potenti, la sua vita a Nazareth come uno dei tanti carpentieri, l’annuncio della croce e il suo mistero pasquale che producono scandalo. Eppure l’apparente umiltà e fallimento della sua vita sfocia nella novità della risurrezione; immettendo nella storia la potenza dello Spirito, che spalanca il Regno di Dio a tutti i popoli della terra, che in esso trovano rifugio e salvezza.

Il granello di senape è simbolo della fede del credente che, anche se piccola, può compiere cose grandi. La potenza della fede, sia pure piccola come un granello di senape, è capace di spostare ciò che di più solido vi è sulla terra come il monte (Mt 17,20; 21,21) o di trapiantare in mare ciò che vive radicato nella terra, come l’albero (Lc 17,5-6). (Ed.Paoline)

I tre doni dei magi: ”La Mirra”

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La mirra è una resina profumata che seccandosi s’indurisce come l’incenso. Si ricava da un arbusto che cresce in luoghi deserti, soprattutto in Africa. Il termine originario significa ‘essere amaro’.

Nell’antichità la mirra era usata in polvere e in forma liquida, unita a olio e balsamo. La mirra serviva come profumo per persone e cose e come medicinale perché ritenuta antisettica e calmante. Nell’antico Egitto era adoperata nell’imbalsamazione, alludendo alla vittoria sulla morte, e come astringente e anestetico. Nella Bibbia la mirra è citata 16 volte.

Nell’ambito cultuale serviva per preparare l’olio dell’unzione sacerdotale (Es 30,23) e per profumare le vesti cerimoniali regali (Sal 45,9). Anche l’olio che doveva ungere il Messia si preparava con la mirra. L’uso della mirra, per motivi di bellezza, è testimoniato nel libro di Ester, la quale, come le altre ragazze scelte per presentarsi dinanzi al re Assuero, fu sottoposta a una speciale preparazione: «Il periodo della preparazione si svolgeva così: sei mesi per essere unta con olio di mirra e sei con spezie e unguenti femminili» (Est 2,12).

Nei libri sapienziali il profumo della mirra indica saggezza: la Sapienza personificata è come mirra scelta che sparge il buon profumo (Sir 24,15); ma anche amore: nel libro dei Proverbi la mirra è un aroma afrodisiaco (Pr 7,17).

Nel Cantico dei Cantici la mirra, citata sette volte (Cant 1,13; 3,6; 4,6; 4,14;5,1; 5,5; 5,13), indica il profumo dell’amore esclusivo e appassionato come esperienza appagante e come sofferenza che l’amore provoca qualora dovesse venir meno (cfr. Cant 5,5).

Nel Nuovo Testamento la mirra è il dono che uno dei magi porta a Gesù bambino. Questo dono può richiamare Cant 3,16, che allude al cammino che dal deserto va verso la città, ma più in particolare Is 60,6, che annuncia il pellegrinaggio dei popoli verso Sion, benché in questo testo, che alllude alla gloria escatologica, la mirra che sia anche segno di sofferenza.

La mirra è presente nel contesto della passione di Gesù: gli viene data mescolata con il vino per alleviare le sue sofferenze: «gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese» (Mc 15,23). Infine, Nicodemo avvolge il corpo morto di Gesù (Gv 19,39) con la mirra che, oltre a indicare l’effetto medicinale antisettico, significa la passione e morte di Gesù a causa del suo amore appassionato verso di noi che non poteva morire.

Nei vangeli di Marco (Mc 16,1) e di Luca (Lc 24,1), nel giorno di Pasqua, le donne vanno al sepolcro con vasetti di olio aromatici per ungere il corpo del loro Signore, che scoprono risorto. Quest’olio profumato, che poteva contenere mirra, significa che l’amore è più forte della morte (Cant 8, 6-7).

Da Sapere: • Nell’interpretazione cristiana la mirra, presente alla nascita di Gesù e nella sua passione, morte e risurrezione, ricorda che quel fragile Bambino cui i magi prestano culto adorante è il Messia che dovrà patire, morire e risorgere. La festa di Natale è così interpretata alla luce del mistero pasquale di Gesù.
Ed.Paoline

Simbologia – ” IL POZZO ”

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Nella Bibbia i pozzi sono luoghi importanti per la vita e le relazioni sociali. In un territorio arido, quale la terra biblica, intorno al pozzo le persone si ritrovano, discutono, litigano per l’accaparramento dell’acqua, si riconciliano, fanno patti e alleanze che garantiscono la convivenza.
Nel ciclo narrativo dei Patriarchi, si ricordano i pozzi scavati dai servi di Abramo (Gen 21,25-31), e dai pastori di Isacco (Gen 26,18-32). Il pozzo, da luogo dove si attinge l’acqua per la vita delle persone e degli animali da pastorizia, diviene luogo simbolico sponsale, perché intorno a esso avvengono i fidanzamenti e i matrimoni importanti.
Le scene bibliche d’incontro presso un pozzo tra un uomo e una donna preludono sempre al matrimonio. Il servo di Abramo, inviato a cercare una sposa a Isacco, nei pressi del pozzo trova Rebecca, che gli offre l’acqua per dissetarsi (Gen 24,11). Giacobbe incontra Rachele che conduce il gregge al pozzo per dissetarlo, ed egli gli mostra il suo amore togliendo la grossa pietra che chiudeva il pozzo (Gen 29, 1-14). Mosè fuggito dall’Egitto (Es 2,11-22) trova riposo accanto ad un pozzo dove giungono sette sorelle una delle quali, Zippora, sarà la sua sposa. Da futuro liberatore difende le ragazze dai pastori che impedivano loro di abbeverare il gregge. Questi racconti mostrano che dare acqua è il gesto che esprime la cura dello sposo o, a volte, della sposa.
Il pozzo rappresenta Dio che, nel dare l’acqua, si prende cura della vita umana oppressa e maltrattata. Egli per due volte regala l’acqua alla schiava Agar quando incinta fugge dalla padrona che la maltratta (cfr. Gen 16,13) e quando abbandonata nel deserto con il piccolo Ismaele, vede all’improvviso un pozzo di acqua (cfr. Gen 21,17-19).
Il Cantico dei Cantici paragona la donna a un pozzo (Ct 4,12-15; cfr. Prv 5,15.)
Il pozzo assume una profonda valenza simbolica nell’incontro di Gesù con la donna samaritana (cfr. Gv 4,6- 15). I richiami agli eventi dell’AT sono evidenti. Gesù, come Giacobbe e Mosè, al pozzo che fu di Giacobbe (Gv 4,6.12) incontra una donna, che in un’ora calda e inusuale, che va ad attingere acqua. C’è però una grande differenza: le antiche narrazioni d’incontro al pozzo si finiscono con il matrimonio. L’incontro al pozzo di Gesù con la donna di Samaria conduce, invece, la sposa infedele (Israele rappresentato dalla donna) a vivere la fedeltà a Dio, il primo amore, che era stato tradito.
Il pozzo nel Nuovo Testamento è il luogo/simbolo della rivelazione di Dio che parla al cuore (cfr. Os 2,5b.16). Alla sposa ritornata alla fedeltà, il Messia di Dio dona l’acqua viva della Parola che, come sorgente sempre fresca, non viene mai mano e la disseta pienamente.

Ed.Paoline

Simbologia – La Via

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Il simbolo della via/cammino è tipico del linguaggio biblico: vi sono le vie di Dio che conducono alla vita e le vie dell’uomo la cui meta dipende dalla libera scelta. Il simbolo della via caratterizza le varie culture, al punto che verbo il camminare o la parola strada indicano un modo di essere nella vita e di realizzarsi.
‘Farsi strada’ significa affermarsi;’avere una via’ indica un tipico comportamento. Il termine via nell’AT richiama in primo luogo l’esperienza dell’Esodo quando Dio, dopo aver liberato il popolo dalla schiavitù egiziana, gli tracciò una strada nel deserto, per farlo entrare nella terra promessa. Questo cammino è in stretta relazione con le ‘regole’ o ‘legge’, che Dio tramite Mosè diede al popolo. L’osservanza amorosa di questa legge permise di procedere verso la meta e di vivere il dono della libertà. La legge di Dio si chiama, infatti, la via del Signore (Ger 5,4). Essa richiede una scelta libera. Nel libro del Deuteronomio Dio chiede al popolo di scegliere tra la via della vita e quella della morte: «Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male. Oggi, perciò, io ti comando di amare il Signore, tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva nella terra in cui tu stai per entrare per prenderne possesso… Scegli dunque la vita…» (Cfr. Dt 30,15-16.19).

La vita stessa dell’uomo, nel suo modo di comportarsi, è definita strada, via o sentiero: «Come potrà un giovane tenere pura la sua via? Osservando la tua parola» (Sal 119,9). Seguire una via è un modo di vivere (Es 18,20), che può essere buono (Ger 6,16; Prv 8,20) oppure cattivo (Ger 25,5; Prv 8,13). Chi segue la propria strada, senza riferimento a Dio, vive senza orientamento e nel pericolo di morte (Is 53;6). Per questo l’orante prega: «Tieni lontana da me la via della menzogna, donami la grazia della tua legge». Sapendo che Dio indica il sentiero della vita, glielo domanda (Cfr. Sal 16,11) e gli esprime pure il desiderio di meditare i tuoi precetti e considerare le tue vie (Sal 119,15).
Nei Vangeli, in particolare Marco e Luca, il cammino indica, innanzitutto, la strada/via seguita da Gesù che lo conduce a Gerusalemme dove compie la volontà del Padre. Nel Vangelo di Marco, Gesù tre volte presenta questa via ai discepoli (Mc 8,27; 9,33-34; 10,32.52). Essi, però, non la comprendono. Nel terzo Vangelo, per 10 capitoli (9,5 – 19,46) Luca indica che la meta del cammino di Gesù è Gerusalemme. Ed egli lo percorre decisamente. Questo cammino indica il modo o stile di vivere di Gesù: la sua apertura misericordiosa verso i peccatori, la sua attenzione verso coloro che incontra, il suo volontario donarsi per la salvezza dell’umanità.

Nel quarto Vangelo il termine via è contenuto in due passi (Gv 1,23; 14,4-6) e ha un senso diverso dei sinottici. Nel capitolo 14 Gesù si definisce e autorivela la Via unica che conduce al Padre. Il termine via che indicava il cammino e la legge di Dio, viene a indicare Gesù, in quanto unico mediatore che pone in comunicazione con il Padre. Gesù, infatti, è Via sicura perché egli è anche Verità/fedeltà e pienezza di vita. La Via che è Gesù si percorre identificandosi con lui. Nel libro degli Atti degli apostoli il termine via indica Gesù; i discepoli sono i credenti quelli che seguono la Via; coloro cioè che hanno fede in Gesù, lo seguono e fanno proprio il suo modo di vivere (cfr. Atti 9,2; 19, 23; 24,14).

Ed.Paoline

Simboli cristiani – ” Il Pellicano”

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Il pellicano è infatti uno dei motivi animali preferiti nell’arte cristiana, insieme all’agnello, alla mitica fenice (che risorge dalle sue ceneri, un simbolo della resurrezione di Cristo) e all’unicorno (che secondo la leggenda può essere catturato solo da una vergine pura, ed è quindi diventato un’allegoria dell’Incarnazione). Un’antica leggenda dice che se i piccoli morivano, il pellicano si apriva il petto e li riportava in vita irrorandoli con il proprio sangue.
Per via di questa tradizione, è facile capire perché i primi cristiani abbiano adottato questo motivo come simbolo di Cristo, il Redentore che rinuncia alla propria vita per riportare i suoi in vita dalla morte del peccato, nutrendoli con il proprio Corpo e il proprio Sangue nell’Eucaristia.
E’ un’immagine dell’amore materno di Dio. Ciò è diventato ben visibile in Gesù: noi tutti viviamo del suo sangue.

Nei Bestiari medievali c’è un poema che descrive molto bene la simbologia del Pellicano:
”’ Questo uccello significa / Il figlio di Maria, / e noi siamo i suoi piccoli / in sembianza di uomini; ci siamo rialzati, / siamo risuscitati dalla morte / grazie al sangue prezioso / che Dio versò per noi, come fanno gli uccelli / che per tre giorni restano morti. / Ora udite secondo autorità Cosa significa questo, / perché l’uccellino / becca l’occhio al padre / e il padre è afflitto / quando li uccide in quel modo: / chi nega la verità / vuole trafiggere l’occhio di Dio, / e Dio di tali uomini si vendicherà. Tenetelo a mente, / questo è il significato.”’

Tanti predicatori e mistici hanno accolto la leggenda esempio Tommaso d’Aquino ”nell’Adoro TE”, uno dei cinque inni eucaristici dedicati al Corpus Domini, invoca la misericordia di Gesù in questi termini:” Pie pelicane, Jesu Domine / me immundum munda tuo sanguine / cuius una stilla salvum facere totum mundum quit ab omni scelere. (Pellicano pieno di bontà, Signore Gesù, / lava le mie colpe col tuo sangue/ di cui una stilla sola basta a rendermi tutto puro da ogni peccato). San Tommaso esalta l’azione purificatrice mediante il sangue del pellicano mistico, Gesù Cristo.

Chi lo guarda nelle nostre chiese con gli occhi della fede vi può scoprire ancora oggi il messaggio più profondo di Cristo: donare se stesso per i fratelli, perché rende visivamente quanto Giovanni ha scritto dell’amore di Gesù Cristo: “Nessuno può avere maggiore amore di chi dà la propria vita per i suoi amici” (Giov. 15, 3). La bella favola del pellicano che ha resistito nei secoli fino ai giorni nostri sta a ricordarci che bisogna camminare nell’amore come anche Cristo ci ha amato e offerto se stesso per noi “come oblazione e sacrificio a Dio” (Ef 5, 2). Se l’amore vero travolge ogni ostacolo, resiste ad ogni fatica e delusione, perché la felicità sta nel dare il nostro “sangue” per gli altri, per sorreggere, confortare, aiutare, soccorrere i “piccoli”, quelli più deboli di noi, quei nostri fratelli si sentiranno corroborati dal nostro amore.

Simboli – ”Melograno”

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Il melograno e il suo frutto, come pure i suoi semi e il suo fiore, nella Bibbia, come nelle civiltà antiche, sono associati all’amore, alla vitalità e alla fecondità.
Nella Bibbia, il melograno è uno dei frutti che la terra promessa produce in abbondanza, garantendo la vita: la terra donata da Dio è ricca perché «terra di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; terra di ulivi, di olio e di miele» (Dt 8,8 ). Insieme all’uva e ai fichi la melagrana è anche il frutto che i dodici esploratori, dopo aver ispezionato la terra nella quale stavano per entrare e verificare che Dio aveva mantenuto la sua promessa, portano a Mosè: «Giunsero fino alla valle di Escol e là tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in due con una stanga, e presero anche melagrane e fichi» (cfr. Num 13,23).
In quanto segno della benedizione di Dio, il melograno decora le vesti del sommo sacerdote:«Farai sul suo lembo melagrane di porpora viola, di porpora rossa e di scarlatto, intorno al suo lembo, e in mezzo disporrai sonagli d’oro: un sonaglio d’oro e una melagrana, un sonaglio d’oro e una melagrana intorno all’orlo inferiore del manto» (Es 28,33-34).
Il libro del Siracide ricorda la gloria sacerdotale che Dio conferisce ad Aronne:«Lo avvolse con melagrane e numerosi campanelli d’oro all’intorno» (cfr. Sir 45,9). Il melograno adorna, pure, i capitelli del Tempio venendo ad indicare la benedizione che scaturisce dall’alleanza con Dio. Il re Salomone:«Fece dunque le colonne e due file intorno a ciascun reticolo per rivestire i capitelli che erano sulla cima, a forma di melagrane, e così fece per il secondo capitello. I capitelli sulle due colonne si innalzavano da dietro la concavità al di là del reticolo e vi erano duecento melagrane in file intorno a ogni capitello» ( in 1 Re 7, 18.20; cfr. Ger 52,22).
Il melograno raggiunge una grande carica simbolica nel libro biblico che canta la splendore dell’amore fedele: il Cantico dei Cantici dove è simbolo dell’amore fecondo e dell’intensa relazione tra l’amato e l’amata. La bellezza dell’amata, colma di vitalità, è descritta dalla melagrana: «come spicchio di melagrana è la tua tempia dietro il tuo velo» (cfr. 4,3; 6,7). Persino nel giardino, luogo dell’amore, fioriscono i melograni. Lo sposo che cerca la sposa va a vedere se nel giardino sono sorti i germogli (cfr.Ct 6,11). L’amato scorge nel melograno, il cui frutto ricco di semi e di colore rosso simbolo del fascino dell’amore, che la sua amata è sposa feconda, piena di vita, portatrice di felicità.

Ed.Paoline

Simboli biblici: ”La Stella”

Il simbolo biblico della stella nell’Antico Testamento si trova, in particolare, nel libro dei Numeri, nell’episodio dell’asina parlante di Balaam. Costui per ordine di Balak, re di Moab, nemico del popolo d’Israele, doveva maledire il popolo d’Israele giunto alle soglie della terra promessa.
Il re Balak intima a Balaam; «Vieni, e maledici questo popolo, perché è troppo potente per me; forse così riusciremo a sconfiggerlo e potrò scacciarlo dal paese; so infatti che chi tu benedici e benedetto e chi tu maledici e maledetto» (Nm 22,6).
Balaam, dopo alcune resistenze, cede e s’incammina per pronunciare la maledizione su Israele. Ma l’angelo del Signore si pone sulla strada per ostacolarlo (cfr.Nm 22,22). Egli non lo vede, ma lo vede la sua asina: «L’angelo del Signore stava ritto sulla strada con la spada sguainata in mano e deviò dalla strada e cominciò ad andare per i campi». Balaam percuote l’asina per rimetterla sulla strada, ma essa nonostante le percosse si accovaccia sotto di lui e si mette a parlare: «Non sono io la tua asina sulla quale hai sempre cavalcato fino ad oggi? Sono forse abituata ad agire così?» (22,30). Balaam comprende che Dio stesso è contro di lui e l’asina obbedisce a Dio. Da mago, grazie alla sua asina che scorge i segni di Dio, diviene profeta e pronuncia una lunga benedizione sul futuro del popolo di Dio: «Io lo vedo, ma non ora,io lo contemplo, ma non da vicino:una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (cfr. Nm 24,17-18). La stella che Balaam vede spuntare da Giacobbe, fa riferimento a Davide che diverrà re d’Israele, sottomettendo i popoli di Moab e di Edom.
Nel Nuovo Testamento, gli evangelisti Luca e Matteo, comprendono che quella stella riguarda Gesù, il vero Messia, re di pace. Luca afferma che «Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,32). L’evangelista Matteo associa la stella che guida i magi alla regalità di Gesù. La stella guidò i magi dall’Oriente verso Gerusalemme per adorare il re dei Giudei. Al re Erode dicono: «Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,2-11). Quando Erode li invia verso Betlemme ecco che «La stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima». La stella che guida a Gesù è Gesù stesso.
Nell’Apocalisse Gesù risorto si autodefinisce stella, ma con la qualità nuova della risurrezione: «Io, Gesù, ho mandato il mio angelo per testimoniare a voi queste cose riguardo alle Chiese. Io sono la radice e la stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino» (Ap 22,16). Gesù, discendente di Davide, vero re, è la stella radiosa del mattino, la più brillante che precede l’alba del giorno di Dio. Come la prima stella del firmamento accende la luce del giorno così Gesù, con la sua risurrezione, ha acceso già il giorno che non avrà mai fine.

Ed. Paoline

1a Domenica di Avvento

Il simbolismo della Corona

La corona di Avvento è un inno alla natura che riprende la vita, quando tutto, sembrerebbe finire, un inno alla luce che vince le tenebre, un inno a Cristo, vera luce, che viene a vincere le tenebre del male e della morte. La corona di Avvento ha una forma circolare. Il cerchio è, fin dall’antichità, un segno di eternità e unità; qui indica il sole e il suo ciclo annuale, il suo continuo riprodursi, senza mai esaurirsi; esprime bene il riproporsi del mistero di Cristo. Come l’anello, che è tutto un continuo, la corona è anche segno di fedeltà, la fedeltà di Dio alle promesse. Dato questo suo significato la corona di Avvento deve mantenere la sua forma circolare e non divenire una qualsiasi composizione floreale con quattro candele. La corona è inoltre segno di regalità e vittoria. Nell’antica Roma si intrecciavano corone di alloro da porsi sul capo dei vincitori dei giochi o di una guerra. Anche oggi al conseguimento della laurea viene consegnata una corona di alloro. La corona di Avvento annuncia che il Bambino che si attende è il re che vince le tenebre con la sua luce. I rami sempre verdi dell’abete o del pino che ornano la corona sono i segni della speranza e della vita che non finisce, eterna appunto. Per questo la vera corona non dovrebbe essere di terracotta, ceramica, pasta e sale… Questi rami richiamano anche l’entrata di Gesù in Gerusalemme, accolto con rami e salutato come re e messia. Ancora oggi la liturgia ambrosiana pone nell’Avvento, il racconto dell’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme. Per ornare la corona si usano nastri rossi o violetti: rosso o rosa, simbolo dell’amore di Gesù che diventa uomo; violetto, segno della penitenza e della conversione per prepararsi alla sua venuta.

La Corona è composta da 4 candele, una per ogni domenica. Ogni candela ha il suo significato:

la prima candela è di colore viola si chiama Candela del Profeta nonchè Candela della Speranza. Ci rammenta che molti secoli prima della nascita del bambino Gesù, uomini saggi chiamati profeti predissero la sua venuta.
Un profeta di nome Michea predisse perfino che Gesù sarebbe Nato a Betlemme!
La seconda candela è di colore rosso, chiamata Candela di Betlemme nonchè Candela della chiamata universale alla salvezza, ci ricorda la piccola città in cui nacque il nostro Salvatore. Noi raffiguriamo Maria e Giuseppe mentre stancamente vagano da una locanda all’altra, senza riuscire a trovare un posto dove riposare, finchè alla fine sono condotti al riparo di una stalla. Poi, nella più sacra tra le notti, mentre risposavano nella stalla insieme ai miti animali, il figlio di Maria, il bambino Gesù, nacque!
La terza candela è di colore rosa, chiamata la Candela dei pastori ma anche Candela della gioia, poiché furono i pastori ad adorare il bambino Gesù e a diffondere la lieta novella.
 La quarta candela è di colore bianco, la Candela degli Angeli e Candela dell’Amore per onorare gli angeli e la meravigliosa novella che portarono agli uomini in quella notte mirabile. Sebbene non possiamo ne vederli né sentirli, sono ancora gli angeli che ci portano il messaggio di Dio con pensieri d’amore e di pace, di gioia e di buona volontà”.

Le candele vanno accese una per settimana, al sabato sera o alla domenica, quando tutta la famiglia è riunita. Durante la settimana si possono accendere le candele (una per la prima settimana, due per la seconda ecc.) quando si prega o si mangia insieme, quando arriva un ospite…