GENTILEZZA

Riflessioni&Meditazioni

La gentilezza è la carità nelle piccole cose. La cortesia è per la natura umana quello che è il calore per la cera. Sul Lungotevere gli alberi secolari che si piegano verso l’argine del fiume lasciano poco spazio ai pedoni: un giovane si ferma e mi fa segno di passare per primo, salutandomi. Può essere banale: eppure è un atto che quasi mi commuove, abituati come si èormai a ragazzi sgarbati, ad adulti maleducati e a vecchi lagnosi e recriminanti. Ecco, allora, la necessità di riproporre una parola semplice eppure del tutto irrisa ai nostri giorni, la gentilezza o, se volete, la cortesia. Come dice la battuta dell’autore inglese Henry Drummond (1851-1897) che ho citato oggi in apertura, il garbo è un lineamento della carità, virtù solenne che però si misura soprattutto nelle piccole cose. Sì, perché amare vuol dire anche trattare l’altro con rispetto, vuol dire affabilità, amabilità, attenzione, riguardo, finezza, insomma quelle che una volta si chiamavano le buone maniere o la buona educazione. Prima di tante belle parole sul sociale, sul volontariato, sull’impegno – cose tutte sacrosante – insegniamo ai ragazzi (e a noi stessi) questa modesta fisionomia della carità che si chiama appunto gentilezza. E scopriremo anche la verità della seconda citazione che oggi ho proposto, desunta dal più paludato scritto Parerga e paralipomena (1851) del filosofo Arthur Schopenhauer. Come il calore riesce a sciogliere la cera (e il ghiaccio), così – come è accaduto a me sul Lungotevere – un piccolo gesto di cortesia riempie l’animo di simpatia, di cordialità, di fiducia nei confronti dell’altro. E se proprio siamo insensibili e un po’ calcolatori, pensiamo almeno al monito realistico del Galateo di monsignor Della Casa: «Chi sa carezzar le persone, con piccolo capitale fa grosso guadagno». 

 

Articolo tratto dal ”Mattutino” di Gianfranco Ravasi
www.avvenire.it

LOURDES

News

 

 

” O Madre mia, é nel vostro cuore che io vengo ad affidare le angoscie del mio cuore ed attingervi forza e corraggio.”

Santa Bernardetta : Quaderno delle note intime. p.28 

CATECHESI BIBLICA

Catechesi del Parroco

 Riferimento biblico: Lettera ai Romani Cap. III

Relatore: Don Francesco Russo 

Con il capitolo III della lettera ai Romani entriamo nel pieno della disputa che interessa Paolo: la salvezza proviene dalla Grazia e non dalla Legge. Infatti dopodichè l’uomo si è allontanato dal Suo Creatore, Dio, Egli ha cercato di recuperare la sua creatura e lo strumento prediletto è Gesù. Ora non c’è più una salvezza esclusiva per gli Ebrei. Tutti gli uomini, sia ebrei che pagani, nascono sotto il peccato e quindi sono colpevoli, peccatori e ciò è dimostrato da Paolo sulla base di alcuni passi della Scrittura contenuti nei salmi 14, 5, 140, 10 e 36, e nel capitolo 59 del profeta Isaia. Dunque, nessuno sarà giustificato attraverso le opere della Legge perchè essa ci dice soltanto cosa è sbagliato. La giustizia di Dio non si è manifestata attraverso la Legge. Viceversa, soltanto la Fede ci salva e solo chi ha Fede, chi crede in Gesù sarà giustificato. Perciò è la Legge dalla Fede che ci rende salvi. Non è la circoncisione nella carne, ma la circoncisione nella Fede che ci porta alla salvezza. Ma Dio è Dio anche dei gentili, dei pagani e non solo dei giudei, sebbene questi avendo la Legge e i Profeti siano stati privilegiati. Anzi, proprio i giudei, avendo ottenuto per primi la conoscenza, avranno maggiormente da rispondere. Tuttavia bisogna credere che Dio, anche all’ultimo minuto, troverà il modo di salvare il popolo ebreo. Dio ci salva perché è verace, è fedele. Anche noi, che abbiamo ricevuto la Rivelazione, dobbiamo stare attenti. Pensiamo a quante chiese sono scomparse.

Ma in questo capitolo Paolo è costretto anche a difendersi da tutti coloro che manipolavano le sue parole. Egli, infatti, nega di aver detto che la Legge è abolita e che si può continuare a fare il male. Tuttavia la Legge è stata assorbita, superata da una legge superiore, cioè dalla Legge dell’Amore. Infatti la Legge ci da la conoscenza del peccato ma non ci da i mezzi per salvarci. Il mezzo è la Fede. La Legge può essere definita una Pedagoga perché ha preparato l’animo dell’uomo. Dio non ha agito secondo una piena giustizia perché ha aspettato i tempi dell’iniziazione. L’uomo deve aprirsi a questa Verità. Di fronte alla grande miseria dell’uomo sovrabbonda la Grazia di Dio. Perciò bisogna considerare il peccato, riconoscere di essere meritevoli di condanna, ma poi aprirsi alla giustificazione per Grazia. Se quindi tutto l’uomo è corrotto, allo stesso modo tutto l’uomo deve essere salvato. L’uomo deve aderire. La Fede è cooperazione, compartecipazione. E la Fede poi è legata alle opere. Chi è in sintonia con Dio la rende visibile. Infatti la Fede si realizza, si concretizza con la morale, con l’agire. Devo evitare di vivere in un modo che metta in difficoltà la mia religiosità. Per Paolo l’uomo è come un bambino: «chi crede di stare in piedi, badi di non cadere!». La religiosità, il Vangelo di Gesù Cristo è il motore.

Quindi, come detto, nessun uomo può giustificarsi da solo, ma è Dio che ci giustifica. Il principio è la fede in Cristo Redentore. La giustizia di Dio si ottiene solo con la fede in Gesù. Ma quando Paolo parla di giustizia e di giustificazione bisogna uscire dal linguaggio forense, giuridico. Nei tribunali per chi ha sbagliato c’è una condanna e una pena. Invece nella fede cristiana è Gesù che ha espiato la pena. Gesù è vittima, altare e sacerdote. Sempre nel corso del terzo capitolo Paolo pone la questione in una prospettiva diversa, positiva. Infatti egli, osservando che Cristo ci ha liberati dalla Legge, si chiede se sia sbagliato imporla di nuovo. Non a caso Dio, nel fare le promesse ad Abramo, non le ha fatte in base alla Legge, post – legge, ma prima, e cioè ante – legge. La Legge è stata data a causa della nostra natura malvagia, ma l’osservanza della legge per la legge non serve. La Legge ricorda ciò che è giusto, ma se la legge è osservata aridamente, senza amore, non ci salva. Possiamo dire che è la voce dell’amante che riconosce quell’amato. Non con il sangue di tori d agnelli ma con il sangue di Gesù.

E poiché gli amici di Dio sono i santi, dobbiamo chiedere la santificazione, la partecipazione alla santità di Dio. Anche perchè «la gloria di Dio è l’uomo vivente» (Sant’Ireneo). Perciò dovremmo essere scossi da questa verità, e cioè che Dio sarà lui a servirci.

La morale è lo Spirito della fede. L’uomo è retto se fa della morale il principio di tutta la sua vita. Quando la vita si stacca dalla morale, dall’etica, si corrono dei grossi rischi. La storia dell’umanità l’hanno fatta i santi. Gli atteggiamenti positivi possono contagiare.

Il peccato ha una struttura, un fondamento. Ci voleva Cristo per distruggerlo. Infatti anche la grazia ha una struttura, una metodologia. Karl Rahner ha detto che il cristiano del duemila o è un asceta o non è un cristiano.