“Un cuore docile”

ACR Cammino di preghiera

“Un cuore docile”: camminare insieme verso l’«amore di carità»

Nelle settimane intercorse tra il 13 febbraio e il 1 marzo, il gruppo “Giovani” di AC della parrocchia Madonna delle Grazie ha vissuto un momento di formazione, riflettendo e mettendo in discussione il modo in cui curano le proprie relazioni.
Attraverso le parole di San Paolo, accompagnate dalle considerazioni del nostro parroco Don Francesco, sono state sollevate varie domande: “Come ci poniamo di fronte all’altro? Come lo valutiamo? Siamo pronti ad accoglierlo nella sua interezza o siamo bloccati a causa dei nostri preconcetti?”.
Nel confrontarci con gli altri, siamo soliti soffermarci sui difetti e sugli errori di chi abbiamo di fronte, senza guardare oltre. Ciò di cui abbiamo bisogno nell’incontro con l’altro è liberarci da quella nebbia di pregiudizio che offusca occhi, mente e cuore, e scoprire la bellezza dell’altro e il suo vero valore.
È così che ha preso il via il nostro percorso sulle relazioni: partendo dal piccolo, dai rapporti del nostro gruppo di AC, i giovani dell’Associazione, sorteggiati a coppie, sono stati invitati a incontrarsi, a conoscersi e a custodirsi a vicenda.
Tuttavia, il reciproco custodirsi è possibile solo quando siamo pronti a scusare, credere, sperare, sopportare, ovvero quando si opera un atto di carità. Come afferma Papa Francesco nell’Amoris Laetitia «L’amore di amicizia si chiama carità» e in essa si riassume la pazienza, l’umiltà, l’attenzione, il perdono, la verità, il donarsi, l’affidarsi.
Quando è assente l’«amore di carità», tendiamo ad alzare i nostri scudi e le nostre armi, a diffidare dell’altro e a non affidarci: in tal modo, non siamo in grado né di custodire l’altro, né di lasciarci custodire da lui.
A tal proposito, ci siamo posti dei quesiti: “C’è un posto in cui riusciamo a disarmarci? Lo facciamo per noi stessi o per gli altri?”. Quando ci armiamo, quelle nostre stesse armi sono puntate verso di noi: ci limitano e, piuttosto che proteggerci, ci annientano. Non ci affidiamo all’altro e, così, ricadiamo in un silenzio che può tramutarsi in angoscia se in noi albergano sentimenti cupi. Tuttavia, se il nostro animo è sereno, sarà più facile percepire il silenzio come «presenza» e conforto, dove poter finalmente deporre le armi e trovare pace.

Qualunque sia il nostro stato d’animo, ciò che conta veramente è avere la consapevolezza di poter trovare Dio e sollievo in quel silenzio e non viverlo più solo come una sofferenza da cui dover fuggire. È quindi vero che, per poter percepire la presenza di Dio, bisogna affrontare degli ostacoli: le nostre angosce, le nostre distrazioni quotidiane, i rumori di ogni giorno sono sinonimo della Sua assenza.
Così come Elia, nel Primo Libro dei Re, deve vincere tutto ciò che lo allontana dal silenzio che è presenza di Dio, anche noi giovani siamo stati guidati in un percorso che ci ha educato al silenzio, abbandonando gradualmente ogni rumore, suono e distrazione, fino a riconoscere Dio nel silenzio della preghiera, camminando insieme per ritrovare il più grande amore di carità.

ACR