Virtù Cardinali: ”La Giustizia ” I parte

Catechesi del Parroco

 

Se la giustizia umana è qualcosa che regola i rapporti tra le persone, ed esige il rispetto dei diritti naturali e positivi propri e altrui, “la virtù morale della giustizia”, invece, come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto e quindi, per mezzo di essa, intendiamo e conseguentemente operiamo ciò che è bene nei riguardi di Dio, di noi stessi e del prossimo.
La nostra riflessione riguarda, quindi, la giustizia come virtù, cioè capacità e forza per essere giusti, dono della grazia di Dio che si sviluppa e si perfeziona alla scuola della Bibbia, dove è viva la presenza del nostro Gesù, il Figlio di Dio che si è fatto uomo per noi. Diciamo che la giustizia è una virtù morale, perché riguarda, il comportamento dell’uomo nelle sue scelte responsabili per ciò che è bene. In altre parole è  l’abito naturale per operare il bene.

 

Ne abbiamo un esempio chiaro in Lv 19,15: “Non tratterai con parzialità il povero, né userai preferenze verso il potente”. Nel NT Cristo ne offre una formulazione concisa e completa al tempo stesso: “Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Mt 22,21). Ciò significa che la guarigione completa di tutti i rapporti, di cui un uomo è il soggetto, consiste nel non essere in difetto verso Dio e verso gli uomini. Questa armonia riconquistata in tutte le relazioni prende il nome appunto di “giustizia”. Il primo e più importante ambito in cui si muove la virtù della giustizia è rappresentato dai doveri verso Dio. Occorre interrogare la Scrittura per sapere quali sono. Precisiamo subito che la parola “doveri” non va intesa, in questo contesto, nel suo significato giuridico: vale a dire che i doveri verso Dio, come quelli verso il prossimo, in quanto ispirati dalla virtù, non sono equiparabili ai “doveri” che invece risultano da una obbligazione derivante dalla legge. E’ vero che la pietà si può imporre per legge, come si impone per legge la fedeltà ai coniugi, ma non è virtù quel gesto intrinsecamente buono che si compie solo per conformarsi a un dettame esteriore. E’ fin troppo chiaro che qualunque coniuge si sentirebbe umiliato se sapesse che il suo partner gli conserva fedeltà solo perché così stabilisce la legge. Lo stesso tipo di umiliazione patisce Cristo da parte di tutti coloro che frequentano la Messa domenicale con una disposizione simile.
La virtù è invece una forza che spinge la persona dall’interno sotto la luce della verità e non sotto quella di un qualche codice. Interroghiamo la Bibbia sulla giustizia, la domanda cruciale che uno scriba pone a Cristo: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?” (Mc 12,28). Con l’espressione “primo dei comandamenti” lo scriba ha inteso alludere ai doveri fondamentali richiesti da Dio verso se stesso. Ed è proprio in questa stessa linea che Cristo risponde:
“Il primo è: Ascolta Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il cuore” (v. 29). Subito dopo, il Maestro aggiunge spontaneamente un’altra verità non richiesta dallo scriba: il secondo comandamento, che è simile al primo. Ma di questo parleremo più tardi. I doveri fondamentali verso Dio sono sintetizzati da Cristo con tre concetti presi dal Deuteronomio: l’ascolto, la professione del monoteismo, un amore verso Dio superiore all’amore che si ha verso se stessi.
Il rapporto con Dio, e tutti i “doveri” inerenti a questo rapporto, ha inizio con la disposizione dell’ascolto. Diciamo pure che questo è il culto che Dio gradisce più di ogni altro gesto. In questo senso possiamo comprendere il testo di Qoelet: “Bada ai tuoi passi quando ti rechi alla casa di Dio. Avvicinarsi per ascoltare vale più del sacrificio offerto dagli stolti che non comprendono neppure di far male” (4,17). Dio insomma è glorificato dall’uomo che prende sul serio la sua Parola. L’ascolto della Parola di Dio è ripetutamente comandato in tutte le parti della Scrittura. Ci limitiamo a pochi testi rappresentativi. “Se vorrete ascoltare la mia voce… voi sarete per me la mia proprietà tra tutti i popoli” (Es 19,5); “Se ascolterete la voce del Signore… voi vivrete” (1 Sam 12,14); “Ascolterò che cosa dice Dio” (Sal 85,9); “Ascoltate la voce del Signore vostro Dio” (Ger 26,16). Nello stesso tempo, la capacità di ascoltare Dio in questo senso profondo è descritta dalla Bibbia come il risultato di un dono di grazia che sboccia su una coscienza che si è allontanata dal peccato: “Nella terra del loro esilio ritorneranno in sé… Darò loro un cuore e orecchi che ascoltano” (Bar 2,30-31). Qui i riferimenti si potrebbero moltiplicare a centinaia, perché si tratta di un tema su cui le Scritture insistono oltre ogni misura. I testi già citati ci sembrano comunque sufficienti. Aggiungiamo soltanto che all’ascolto di Dio va unita inscindibilmente la memoria. La Parola di Dio e le sue opere vanno conosciute e conservate nella memoria, tanto che la loro dimenticanza è equiparabile a un peccato di omissione: “Ma guardati e guardati bene dalle cose che i tuoi occhi hanno viste… Le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli” (Dt 4,9). Con l’espressione “le cose che i tuoi occhi hanno viste” non si può intendere altro che il contenuto stesso della Bibbia, cioè la storia della salvezza nel suo insieme, ignorare la quale, o dimenticarla, è già un grave peccato davanti a Dio, come si vede dalla esortazione duplice: “guardati e guardati bene”. Alla luce di questo si comprende fino a che punto ingannino se stessi coloro che cercano la salvezza nella partecipazione fisica alle iniziative della Chiesa, senza curarsi del proposito del salmista: “Ascolterò che cosa dice Dio” (Sal 85,9) né dell’avvertimento del Qoelet: “Bada ai tuoi passi quando ti rechi alla casa di Dio. Avvicinarsi per ascoltare vale più del sacrificio offerto dagli stolti che non comprendono neppure di far male” (4,17).